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Frocio. Era una parola per difenderci

24-10-2025 08:09

Francesco Gusmitta in Arte Il GladiAttore

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Frocio. Era una parola per difenderci

Una parola che oggi scandalizza, ieri era difesa. Un ricordo di quando dire “frocio” serviva solo a proteggere la propria libertà.

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Questa è la mia foto da ragazzo. Guardatela bene: capite subito che per me era una continua rottura di scatole.

Amato dalle donne, cercato anche da uomini che non accettavano un no. Figurarsi nel mondo dello spettacolo: lì le pressioni erano ancora più forti.

Io non ho mai usato la parola “frocio” a caso, tanto per insultare.

La tiravo fuori solo quando uno insisteva, quando diventava invadente, quando ti toccava troppo o non smetteva di pressare. Allora glielo dicevi in faccia: “Ma che sei frocio?”.

Era l’unico modo per tagliare l’ambiguità, per difenderti, per farti rispettare.

Se la persona stava al suo posto, nessuno lo chiamava così. Ma se insisteva, allora sì: serviva a metterlo nei ranghi.

Io ero chiaro: a me piacevano le donne. Punto.

E vedere due uomini con la barba che si baciavano mi faceva voltastomaco. Mi dava fastidio, mi sembrava contro natura.

Però c’è un’altra verità dentro di me: l’amore più puro, quello che ho percepito come il più vicino a Dio, l’ho conosciuto nell’amicizia virile.

Un amico per cui avrei dato la vita, senza bisogno di letto, senza sesso.

Era amore eterno, fatto di lealtà, di sacrificio, di fratellanza.

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Quello era amore, non l’insistenza, non l’invasione, non la psiche disturbata che cerca solo di affermarsi.

Oggi vedo una società che ha liberalizzato tutto.

Vedo parate, uomini in carri vestiti da sadomaso davanti a bambini, vibratori in bocca come se fosse carnevale.

Per me non è libertà, è pazzia.

L’amore vero è riservatezza, è dolcezza, è un collante che tiene insieme l’umanità. Non si mostra, non si ostenta. Quando diventa spettacolo, non è più amore: è psiche malata, è dolore, è follia.

Io almeno riuscivo a difendermi.

Ma oggi mi domando: come fanno i ragazzi?

Noi avevamo parole dure, modi spicci, e bene o male ci rispettavano.

Oggi, che tutto sembra permesso, non so se i ragazzi hanno ancora la forza di dire “no” e difendere il proprio spazio.

E allora lo dico chiaro: io parlo perché ci sono passato, perché l’ho vissuto sulla mia pelle.

E non ho paura di usare la parola proibita.

Perché quella parola, nei miei anni, non era odio: era difesa.

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