L’altro giorno ho ricevuto una proposta per un provino per Don Matteo. Una posa.
(Per chi non lo sapesse: una “posa” è un solo giorno di lavoro, spesso per una battuta, forse due). Ho gentilmente declinato.
Non perché io sia diventato difficile, ma perché a 59 anni, dopo una vita di scena, so chi sono. E so cosa merita la mia storia, il mio mestiere e la mia dignità.
In passato ho già partecipato a Don Matteo, lavorando accanto a Terence Hill. Un artista autentico, che scelse quel ruolo in un momento delicato della sua vita, con un’intenzione profonda. Anche una piccola parte, con lui, aveva senso.
Oggi al suo posto c'è Raoul Bova. Con stili diversi, energie diverse. Con rispetto per la sua carriera e la sua popolarità, dico soltanto che per un attore come me, con una lunga esperienza teatrale, ogni progetto va valutato con attenzione, rispetto e coerenza.
Un tempo si andava negli studi di produzione, o direttamente dal casting director. Lì c’era una sala, una telecamera, una persona che ti dava la battuta. Ti guardavano in faccia.
Magari incontravi in sala d'aspetto altri attori, condividevi attese, nascevano collaborazioni, si veniva a sapere di altri provini. Si respirava l’ambiente. Si era vivi, dentro e fuori dalla scena.
Oggi ti mandano le istruzioni via email su come affrontare il provino, materialmente lo devi girare tu... e poi spedirlo. Un Self-tape, inviato a un indirizzo email. Non c’è più odore, non c’è più vibrazione.
Ma noi siamo fatti di questo. Non puoi ridurre un attore a una clip da mandare via email.
Tutto questo sistema spersonalizza, e rende opaco anche il processo di selezione. Spesso oggi non è più il regista a scegliere gli attori. Molti ruoli vengono imposti dalle produzioni o da chi ha fatto arrivare i fondi.
Ho visto registi disperarsi perché non riuscivano a mettere nessun attore: dovevano inserire nomi imposti, magari persone che non parlavano nemmeno bene l’italiano.
Basta guardare certi festival per rendersi conto che ormai, anche lì, il merito conta sempre meno: voci contraffatte con software che ingannano facendo passare per intonati campane stonate.
Qualcuno mi ha detto: “Rifiutando, potresti dispiacere alla casting…” Ma penso che ogni attore debba fare scelte coerenti con il proprio percorso e con la propria visione dell’arte.
Dare valore al proprio mestiere è anche saper dire “no”, quando qualcosa non rispecchia il proprio sentire.
Lo spettacolo ha bisogno di GladiAttori.
Non di ruoli preconfezionati, ma di artisti vivi, veri, consapevoli.
A chi condivide questa passione: avanti con coraggio.
Francesco Gusmitta
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