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Musicisti e cantanti, non uccidete il miracolo del teatro

2025-05-01 13:14

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Cantanti e musicisti, non fate solo mestiere: siate presenza viva, rispettate l'attore e custodite insieme il miracolo del teatro autentico.

Occhio cari cantanti ma soprattutto musicisti :
non fate gli impiegati da timbratura. Così uccidete il miracolo.

Nel nostro mestiere — quello dell’attore vero, nato dalla scena, dal sangue, dalla vita vissuta — spesso ci si trova a collaborare con musicisti, tecnici e registi che, pur bravissimi nel loro settore, non conoscono davvero la nostra natura.
Non per colpa loro, intendiamoci. È il sistema che ha generato corsi universitari e accademie a ripetizione, creando più bacini di disoccupazione o illusioni collettive che reali artisti. Spesso si formano registi che non sono mai vissuti "da attori", e questo li rende incapaci di coglierne i tratti più profondi.

Essere attore non è solo recitare. È sviluppare una sensibilità unica, un ascolto invisibile, un rispetto totale del momento presente e di chi ti sta accanto. Gli attori sono esseri speciali, sensitivi. Ricordo ancora quanto Antonio Calenda trattasse noi attori come Angeli. Come giustamente siamo.

Forse è proprio per la mancanza di simili figure che oggi sono diventato regista: per tutelare quegli attori che amo e che sento fratelli d'anima.

Ma veniamo a voi, musicisti e cantanti.
Vorrei che sapeste che mentre vi accordate, sistemate gli strumenti nella buca o parlate tra voi, l'attore vi ascolta. Non con l'orecchio, ma con qualcosa di più profondo. E percepisce il vostro menefreghismo o la vostra attenzione, anche quando voi pensate di essere invisibili.

Perché voi avete uno spartito, un direttore, un tempo segnato.
Noi no.

Noi dobbiamo entrare sulla scena guidati dall’intuizione, cogliendo il momento preciso in cui la luce si apre o l’orchestra attacca. Senza suggeritore, senza partitura, interpretando ogni battito d’anima.

Il nostro strumento è l’ascolto. Un ascolto che viene dal rispetto, dalla presenza totale, dal dono invisibile che ci è stato dato.
E purtroppo pochi, oggi, lo comprendono. Non lo insegnano più.

Celebre rimane Strehler, che fece restare Renato De Carmine, già anziano, in piedi per oltre un’ora con un bastone, solo per osservare come cadeva l’ombra del bastone sulla scena.
E non mise un tecnico a farlo. Mise un attore.
Perché ogni dettaglio nasce dalla verità della presenza.
E infatti le sue scene erano come quadri.

Ecco perché fa male — e lo dico con amarezza — vedere, durante le prove, orchestrali o cantanti che parlano tra loro come se nulla stesse accadendo in scena, proprio mentre l’attore è lì, concentrato, sudando sette camicie per trovare la verità.
E quando poi, senza nemmeno avvisare, si alzano e vanno in pausa, mostrando l’orologio, il segnale è ancora più chiaro:
non sono con noi.

Lì non c’è amore. Lì c’è solo mestiere senz’anima.
E questo non è arte.

Chi ha la fortuna di suonare o cantare in un’opera teatrale ha il dovere di esserci con tutto sé stesso.
Non per servire l’attore, ma per servire insieme il miracolo del teatro.

Il GladiAttore



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